STEEL-LIFE

Galleria Fumagalli
Milano

a cura di Roberto Mutti

28 settembre – 05 ottobre 2016

about

“Di fronte al metallo incandescente, al bagliore del fuoco, al fragore degli attrezzi e alla meraviglia di osservare come la materia poteva piegarsi al volere di chi ne sapeva modificare la forma, gli antichi greci immaginavano che tutto non potesse essere opera dell’uomo ma avvenisse nella fucina di un dio, Efesto. Facile sorridere di questo mito ma neppure l’uomo moderno ne è stato del tutto immune avendo da par suo, all’inizio della rivoluzione industriale, idealizzato la fabbrica trasformandola in una enfatica eppur affascinante metafora del progresso: “Noi canteremo – si legge nel 1909 nel Manifesto del Futurismo – il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche, le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi”. Quando Lucrezia Roda ha iniziato a inquadrare nel mirino della sua fotocamera la realtà delle Trafilerie San Paolo non pensava certo a queste suggestioni: figlia di un’epoca contemporanea che alle spinte emotive contrappone una visione linearmente scientifica, si è trovata di fronte a quegli stessi bagliori e rumori che avevano impressionato i nostri antenati e ha accettato la sfida. Per lei tutto questo non poteva essere banalmente descritto perché in quel caso la fotografia si sarebbe trasformata in un semplice rispecchiamento degli aspetti reali perdendo così gran parte della sua capacità evocativa. Scegliendo di usarla come un linguaggio interpretativo ha così deciso di farsi guidare dall’intuizione di considerare la fabbrica come il luogo dove si realizza il fascino un po’ misterioso della trasformazione. Il metallo si fa incandescente, scorre rapido in un percorso che lo indirizza dallo stato indefinito alla forma che dovrà assumere e in questo tragitto ci regala le meraviglie di un caleidoscopio con i colori che si inseguono, le geometrie che si moltiplicano, le luci che ora si appiattiscono sulle superfici, ora ne esaltano la plasticità. L’obiettivo di Lucrezia Roda si sofferma su particolari apparentemente insignificanti – una miriade di minuteria metallica sfusa che ricopre completamente un piano, decine di teste di bulloni che creano una composizione simile nella struttura a un alveare – per trasformarli in materia viva con cui viene spontaneo confrontarsi. La fotografa ci accompagna con mano sicura in questo labirinto e ci invita a scoprire con lei che, viste in una prospettiva frontale, quelle barre metalliche a sezione quadrata accostate l’una sull’altra sembrano dipinti astratti. Anche il filo metallico, sulla cui superficie la luce gioca creando piacevoli effetti multicolori, trasfigura la circolarità delle sue matasse in un dinamismo avvincente per il nostro sguardo che lo insegue affascinato. Quando poi la fotografa amplia la sua visione, ecco che ci mette di fronte a ruote, tubi, rotaie, forni, vasche, macchinari avvolti da fumi e vapori: non importa se non ne conosciamo i meccanismo di funzionamento purché comprendiamo che quello è il luogo dove l’uomo sa trasformare la materia piegandola alle sue esigenze. E allora ci accorgiamo della grande capacità evocativa della fotografia quando è usata, come in questo caso, con pregevole consapevolezza: nata nell’età industriale, sa più di ogni altra disciplina raccontare il fascino di cui la modernità si è fatta portatrice. Senza dimenticare, ma aggiornandolo, il mito di Efesto.” – Roberto Mutti

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